sabato 14 agosto 2010

INTERVISTA AD ARMANDO ROSSI


Armando Rossi in una reinterpretazione di se stesso.

Armando Rossi è uno dei disegnatori professionisti dal tratto più particolare che abbia mai avuto il piacere di vedere. I suoi inchiostri ruvidi ed apparentemente imprecisi nascondono in realtà una padronanza tecnica ed un'espressività dei personaggi davvero non comune. La prima volta che ho sentito il suo nome e visto il suo lavoro è stato nel primo volume di Ford Ravenstock, bellissimo fumetto scritto da Susanna Raule ed attualmente edito dalle Edizioni Arcadia. Inutile dire che sono rimasto subito molto colpito...

Armando, cominciamo con una domanda classica: quando e perché hai deciso di diventare fumettista?
Non credo che ci sia stato un momento preciso. Da bambino leggevo fumetti e pensavo: "WOW! Voglio farlo anch'io!" e disegnavo. Poi cresci, cambiano le letture. Passi da Topolino ad Asterix, dai supereroi a Linus e a Frigidaire, Pilot, Metal Hurlant, alla Vertigo, ma l’effetto “WOW! Voglio farlo anch'io!” rimane continui a disegnare.

Qual è il genere di fumetti che preferisci disegnare?
Il “genere” è solo un’etichetta appiccicata ad una storia. Se la storia rispecchia il genere, qualunque esso sia, nella sua forma più classica e stereotipata allora sarà nel 99 per cento dei casi noiosa da disegnare e da leggere. Al contrario una storia originale e ben scritta, indipendentemente dal “genere” in cui la vogliamo far rientrare, sarà divertente da disegnare. Quindi diciamo che più che altro dipende tutto dal soggetto, dalla sceneggiatura e, soprattutto, da quanta libertà ho nella rappresentazione grafica.

Quale genere invece eviti volentieri?
Direi supereroi. Trovo piuttosto insulso vedere gente paranoica dai corpi perfetti vestita come delle drag queen che va in giro svolazzando a fare a botte con altra gente altrettanto sobriamente vestita e sparare raggi protonici dalle mani. Però vale anche qui il discorso di prima: accetterei al volo di disegnare qualcosa come “Powers”, giusto per fare un esempio. Considera comunque che, essendo italiano e lavorando per il mercato europeo, non è che le proposte di disegnare supereroi arrivino tutti i giorni.

Fino ad ora qual’è stata la storia che ti è piaciuto maggiormente disegnare? Perché?
“Diamond Ducks”. Anche se adesso, a distanza di anni, non sono pienamente soddisfatto del risultato finale, è sicuramente il lavoro più divertente da disegnare che abbia realizzato. Perché? Per la libertà più completa di poter disegnare quello che mi pareva e come mi pareva, attingendo al mio immaginario visivo e non a quello di uno sceneggiatore.

Se tu potessi disegnare la versione a fumetti di un'opera qualsiasi (letteraria, cinematografica, ecc...) senza problemi di tempo e di compenso, quale sceglieresti e perché?
Senza alcun dubbio: “Il maestro e Margherita”. Perché è un libro meraviglioso. Naturalmente non sarò mai tanto pazzo da fare una cosa del genere. Primo perché sarebbe un lavoro da svariate centinaia di pagine che ti porta via qualche anno di vita e secondo perché, per quanto ne possa venire fuori un buon lavoro, anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe mai all’altezza della versione letteraria. Sarebbe interessante invece procedere alla reinterpretazione di qualche opera letteraria o cinematografica: penso a quello che ha fatto Coppola con “Cuore di Tenebra” o Gilliam con “La jetèe”.

Preferisci lavorare su sceneggiature dettagliate oppure con poche indicazioni? Perché?
Meno indicazioni ci sono meglio è. La mia sceneggiatura ideale di una scena dovrebbe comprendere i dialoghi, una descrizione degli stati d’animo e delle azioni dei personaggi in quella scena, l’indicazione in linea di massima del luogo in cui si svolge la scena e il numero di tavole da dedicare alla scena. Niente di più.
Perché? Perché ogni indicazione in più è un paletto. A che serve saper disegnare quello che immagini se poi devi disegnare quello che immagina qualcun altro e che tu non “vedi”? Certo, puoi farlo, ma è piuttosto frustrante alla fine di un lavoro accorgerti che quel lavoro non è tuo ma di chi l’ha scritto.

Preferisci disegnare singole illustrazioni/copertine o tavole interne con più vignette?
Nessuna preferenza. Sono due tipi di lavoro diversi che richiedono approcci diversi al foglio di lavoro. È bello poter variare ogni tanto.

Sei molto pignolo come disegnatore?
Assolutamente sì. Sono capace di rifare una vignetta anche 4 o 5 volte e curo le chine in modo maniacale. Il punto è che dato il mio stile di disegno nessuno mi crede mai quando dico questa cosa. Una volta mi dava fastidio, adesso lo trovo divertente.

Quanto tempo ti occorre mediamente per realizzare una tavola?
In media direi un paio di giorni. Per alcune anche meno. Quelle più complicate invece possono richiedere anche una settimana.

Qual'è per te la parte più difficile del realizzare una tavola? Perché?
Non ci sono parti più difficili di altre. Ci sono però parti meno divertenti, se non addirittura noiose. La parte più divertente è l’inchiostrazione e il piazzare le luci e le ombre. Purtroppo quest’ultima fase è andata a farsi benedire da quando lavoro per il colore. Mi piace anche realizzare i bozzetti delle vignette in cui posso giocare con la composizione. Meno divertente realizzare le matite precise.

Qual è il soggetto che preferisci disegnare? Perché?
Nel corpo umano c’è un’armonia che raramente trovi negli altri soggetti. Attenzione: in ogni corpo umano, indipendentemente dal sesso o dalla forma fisica.
E le architetture esterne. È li che davvero puoi creare dei piccoli mondi. Noiosissimo invece disegnare gli interni.

Nell'introduzione accennavo al tuo modo particolare di inchiostrare le tavole. E' uno stile che hai sempre utilizzato oppure è la conseguenza di una precisa ricerca stilistica?
Entrambe le cose. È la normale evoluzione di un tratto su cui si sono innestate da una parte continue ricerche sul segno, soprattutto sull’incredibile potere che un segno ha di creare emozioni, e dall’altra le influenze dei disegnatori che più ho amato.

Hai lavorato più volte con Susanna Raule. Qual'è la cosa che preferisci di lei come sceneggiatrice?
Per amor di brevità: i suoi personaggi sono vivi. Bizzarri, incredibili, ma assolutamente veri. Quando lavoro con lei non ho mai l’impressione di disegnare un pupazzetto, ma di rappresentare una vita. Cosa potrei chiedere di più da uno sceneggiatore?

Ci avviamo alla conclusione: quale titolo daresti alla tua autobiografia?
“La guerra di Armando per arrivare vivo a fine mese”?

Disegneresti per il blog un ritratto o una caricatura di te stesso?
Non realizzo quasi mai ritratti o caricature di me stesso. A volte lo faccio, ma solo per rappresentare un mio momento particolare. Ti mando questo (l'immagie all'inizio del post, NdR), ma non mi chiedere spiegazioni.

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